gavino crispo
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 "Le composizioni sono per lo più associate in colori molto simili e persino colori splendenti come il rosso hanno nelle sue opere un effetto diffuso e contribuiscono più all’insieme dell’opera che ad una messa in evidenza in sé. Sicuramente non è sbagliato affermare, quando si considerano le opere di Crispo con le loro atmosfere sognanti e le pose meditative, che esse si avvicinano molto alle atmosfere del cinema italiano ed in particolare a quelle di Luchino Visconti.
  Molte opere di Crispo mostrano nient’altro che frammenti di figure umane. Sembra che l’artista ami molto il dettaglio che l’osservatore tramite la sua forza immaginativa dovrebbe integrare in una figura completa. Dal punto di vista storico, dobbiamo riferirci anche su questo punto alla Pop Art.
 In questo modo, gli oggetti inanimati diventano nelle opere di Crispo i veri protagonisti e all’artista riesce di conferire loro una personalità. E questo è il sogno di tutti gli artisti dai tempi del leggendario scultore Pigmalione. In evidenza troviamo camicie, pullover, cravatte, guanti femminili, strumenti musicali ed altro. Anche gambe e mani giocano un ruolo privilegiato. Crispo dona agli oggetti da lui rappresentati una propria personale magia che prende l’osservatore per un tempo più o meno lungo, ma che non può negare d’altro lato la tendenza al feticismo. Si può credere di vedere nei capi di abbigliamento, così luminosi ed iperrealistici, ancora l’essenza e l’anima di chi li indossava. Dietro ciò sembra si celi una filosofia che presenta il mondo inanimato più durevole e resistente dell’esistenza umana.
 Particolarmente intriganti ci appaiono i ritratti senza volto, che sono presenti spesso, e la loro indubbia provenienza surrealistica. Si pensi ai lavori di René Manritte. Ci rimane da chiedersi se si tratta ancora di ritratti in senso stretto. Persino quando Crispo presenta all’osservatore il corpo femminile nudo in posizione erotica, rimane una impressione fredda e riservata. Si potrebbe scoprire a questo punto volentieri una nota critica della società, poiché si rende evidente il confronto con la pubblicità che manipola l’uomo per i proprio scopi.
   Proprio all’opposto lo spazio vuoto, la distanza tra i motivi pittorici, sembra essere per Crispo talvolta al centro dei suoi sforzi pittorici. Egli spinge a volte i motivi rappresentati ai bordi della tela pittorica, il centro della composizione rimane però vuoto. Per l’osservatore di oggi, i quadri realistici di Gavino Crispo rappresentano un ben accetto arricchimento od almeno un gradito cambiamento nell’odierno mondo dell’arte che diventa sempre più estraneo e che per essere “moderno” ricorre sempre di più all’arte astratta e che nega l’arte figurativa bollandola come regressiva. Qui però comincia il campo del gusto individuale ed il critico fa bene a non prendere posizione.
    Le pitture di Gavino Crispo trasmettono una buona impressione delle possibilità della pittura realistica e bisogna fare ampiamente uso di questa possibilità."
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ANDREAS STOLZEMBURG

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​"Il senso dell’immagine in Gavino Crispo non conosce incertezze. E’ un senso dell’immagine saldo, chiaro, esplicito, pieno della sua evidenza visiva, indisturbato nella sua vis comunicativa. Ingrediente primario di quest’arte è una limpida ed incisiva scansionatura dello spazio, che si fa ampio e dilatato perché non teme i vuoti, anzi dei vuoti si alimenta, perché nulla è più eloquente di una pausa che cade al punto giusto. E sono pause senza fine le campiture espanse dei fondi e delle figure di Gavino Crispo, pause decantate sulla superficie rigida della bidimensionalità, per invitare l’occhio a sondare l’incommensurabile profondità di un colore sonante.
Nitore dello spazio e qualità tersa ed omogenea del colore sono, tuttavia, nella pittura di Gavino Crispo, la stessa cosa. Lo spazio, infatti, è spazio cromatico, e il colore ha in sè proprietà di definizione architettonica.E’ lo spazio-colore di Gavino Crispo, nel quale prende corpo la sintesi quintessenziale della strumentazione di base di qualsiasi opera pittorica, che sempre e ovunque nasce come sfida tra tipologie di essenze cromatiche e il campo vuoto della tela. Quando la sfida arriva a un punto di maturazione, nasce il miracolo della pittura.
     Se spazio e colore, dunque, sono i principi base dell’operare crispiano, a definire lo stile e a cementare il messaggio intervengono elementi d’altra natura, che l’autore sagacemente intesse ai primi due, in un percorso acrobatico sul filo sottile dell’equilibrio organico dell’immagine. Intendo il saltuario affondo iperrealistico, per prima cosa, un affondo calibrato secondo modi di integrazione poetica del contesto spazio-cromatico, grazie ai quali una presumibile cesura stilistica riesce a risolversi in una visiva unità dialogica. Tra il non-detto della pausa e la pienezza retinica del frammento iperrealista, la verità poetica dell’arte di Crispo sta, infatti,  nel mezzo.
    La verità si può suggerire, non dipingere. E questo forse perché la verità sta nel tendere verso qualcosa che sfugge in quanto troppo grande per essere fermato su una tela o in un concetto. Non ci rimane che il cercarla vivendo, sapendo che l’approdo ultimo avrà il volto di un enigma. L’enigmaticità è proprio un altro di quei sopra accennati elementi sui quali Crispo sviluppa l’intensità del suo comunicare pittorico. Enigmatici sono gli anti ritratti così spesso dipinti dal pittore campano, dal volto assente perché debordante il rettangolo del quadro; enigmatica è la poetica del frammento iconico, quando questo riesce a dire di più dell’ipotizzabile compiutezza; enigmatico altrove è il sentimento che trasuda da una immagine che si imprime, nella coscienza di chi guarda, con la forza indefinibile di un grande punto di domanda.
     Per quanti elementi del figurare si possono trovare nella pittura di Gavino Crispo, essi non giungerebbero tuttavia mai a produrre quel robusto senso dell’immagine di cui si diceva all’inizio, se non fossero sottoposti ad una sapiente regia di vicendevole dosaggio e rapportato equilibrio. Tale regia è virtù sicuramente innata, ma necessita pur sempre della palestra del mestiere e dell’esperienza per ottimizzarsi ed elevarsi a matura arte del comunicare. Per comprendere questo aspetto della pittura di Crispo, ci viene in aiuto la sua biografia, che racconta di lunghi anni di lavoro, sin dalla giovane età, nel settore produttivo che del comunicare visivo ha fatto una scienza: la grafica pubblicitaria. E’ così che Gavino Crispo arriva ad impersonare un episodio, tra i tanti, di mutui e creativi rapporti tra comunicazione sociale e produzione privata, che si sono sviluppati a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso. Si pensi ai manifesti pubblicitari realizzati da Chéret, Toulouse-Lautrec e Bonnard, dai futuristi italiani, dai costruttivisti russi e dagli artisti della Bauhaus, ma anche da Sironi e da Munari; si pensi quanto la pop art ha attinto da tale comunicazione pubblicitaria, individuando in essa l’iconosfera di base con la quale dialetticamente interagire, per fare qualcosa che le assomigli, ma al contempo le rivoluzioni la natura; e si pensi, per quanto avviene nel nostro contemporaneo urbano, quanto sia difficile stabilire chi ha dato e chi ha preso nell’omologazione macrofotografica che avvicina le pubblicità di Fendi e della Benetton alla giovane arte che da qualche anno invade rassegne pubbliche e gallerie. I confini oggi sono così sottili da apparire invisibili, gli intrecci ricchi e fecondi hanno partorito una nuova fusione, quasi un nuovo genere. Su questo stesso crinale s’installa anche Gavino Crispo, quale figlio del suo tempo, prodotto della sua storia personale ed effetto di una nuova e dilatata coscienza pittorica, che scova nelle ambiguità delle categorie comunicative le frontiere ancora inesplorate dell’antica arte del dipinto. Un’arte che ha ancora molto da dire se non si chiude in ermetico e misoneista isolamento, ma prosegue, come avviene con Crispo, nel mettersi alla prova ogni volta di più, crescendo dal di dentro e traendo da se stessa le qualità che le permetteranno una pacifica e sempre rinnovatesi convivenza con la pervasività dell’immagine massmediale".

GUGLIELMO GIGLIOTTI

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"Un fatto è certo che gran parte della antropologia di Gavino Crispo desunta dall’uomo della strada non appare dentro recite di teatri impressionisti o espressionisti e tanto meno cubisti, il pittore non media la sua visione attraverso la lezione avanguardistica, ma da quella palestra in apparenza anonima, impassibile, di madre fotografia. Ma è qui che l’artista si diversifica, intanto, dagli iperrealistici statunitensi, anche nella sua prima fase di assaggio su personaggi del dopoguerra. Gli americani guardano con un occhio neutrale, passivo e poi, alla fine, ogni cosa che vedono con il loro occhio meccanico suona come un troppo, un pieno che fa sazietà e nausea.
 Già da quando mi ero imbattuto in alcune opere del pittore all’Expo Arte di Bari, ebbi l’impressione che l’artista non limitasse alla stesura, sia pur diversa, il suo contributo di racconto, ma che il suo maggior problema fosse quello della collocazione dello spazio mentale delle sue tele, di parti di un tutto. Mi conquistarono subito come presenze riconoscibili delle persone, soltanto le cose; cravatte, giacche, cinture, in virtù di “tagli” compositivi particolari, di piazzamenti, come per esempio in “Ombrello e cappello”.
A mano a mano che ci imbattiamo in queste vestigia, sintesi, indicazioni di persona, ci sembra ogni volta di riconoscerci meglio in loro. Ci siamo già abituati a queste sottrazioni e piazzamenti, a questi mezzi uomini, individui dimezzati, che li riconosciamo subito dalla tribù precisa degli esistenti, più vasta ed internazionale di qualunque altra, se non ci mostrano il viso e ci danno di loro stessi molto spesso connotati merceologici. 
Se non si entra nel meening del pittore difficilmente si può apprezzare l’armonia delle sue disarmonie, il tutto sottaciuto dai suoi eclatanti particolari, quel calamitarsi di figure e cose ai margini della tela, assentarsi per formare un’altra presenza…
​Ma non si pensi che l’”operazione dettaglio” di Gavino Crispo non sia stata accompagnata in questi cinque anni di intenso lavoro da uno sviluppo in chiave cromatica. Già nel 1982 opere come “Frammenti” e “Cravatta gialla” si trasformano da un fatto in partenza grafico e fotografico, come la maggior parte dei lavori che ho fin qui illustrato, in una pittura ricca e piena, brillante.
 Gavino Crispo fa scattare i suoi dettagli con l’aggressività di un animale selvaggio, una virulenza antigraziosa per cui l’abbigliamento non è tenera bellezza esistenziale, ma presenza di vita incoercibile. Come si evince anche da quell’unico più esplicito affetto verso la figura femminile “Le mani sui fianchi”, sempre quell’andare nel sentiero del dettaglio, quella ferocia dell’atto più elementare, primario, che possa esprimere l’uomo, cioè di esistere. D’altra parte l’artista non dipinge con tanta avarizia dell’insieme per una paura del pieno, del compiuto, semmai perché pieno e compiuto per lui non sono sufficientemente emblematici, a dire come l’uomo oggi vive; ma qualche volta, quasi a riprova della sua operazione e a contraddirsi da vero pittore qual è, eccolo a dipingere figure piene quale quella della donna di schiena dai capelli corvini che terminano sulla nuca con una punta, intensa, squisita".

MARCELLO VENTUROLI

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"Una stellina rossa che riempie il bianco…  
Considerato un “virus” da molti suoi estimatori, Gavino Crispo sa creare immagini in grado di superare ogni barriera protettiva innalzata dall’animo umano, per entrare dentro, con decisione. Quasi come se queste trovassero uno spiraglio lasciato impercettibilmente aperto e vulnerabile. Quasi come se decidessero che invaderlo sia l’unica strada da intraprendere per trovare un senso alla propria creazione. 
​Merito dei protagonisti dei quadri: persone di oggi, che si vedono quotidianamente e che riconosciamo, o merito dei colori, che colpiscono e che non si ripetono? Merito delle parole che rimangono incise sulla tela e nella mente di chi si sofferma a leggerle, oppure semplicemente merito di un linguaggio personale e facilmente riconoscibile? Di certo, l’insieme delle peculiarità dello stile di Gavino Crispo, crea un’arte che mette in gioco emozioni e razionalità, tanto dell’artista quanto dello spettatore. Un’arte che coinvolge e sa proiettare chi la osserva in una dimensione volutamente lasciata ambigua e aperta. Nessuna certezza, nessun messaggio, nessuna interpretazione univoca. Solo immagini, parole e puntini di sospensione…"

ROBERTA BUSATTO


​"Lo stile personalissimo di Gavino Crispo è connotato da una particolare eleganza cromatica e da un’armonia compositiva, in cui si fondono suggestioni che provengono dal mondo della pubblicità, da lui per anni vissuto in qualità di art-director, e dalla sua formazione accademica. Crispo dipinge la figura umana attraverso l’utilizzo di due stili diversi: l’iperrealismo, che sottolinea i particolari su cui l’artista vuole porre l’attenzione, e una sintesi formale fatta di linee nette e di campiture piatte di colore, con cui descrive il resto dell’immagine.
Questa sua modalità ricorda l’espediente utilizzato dal Caravaggio, quel gioco di luce e ombra che serviva a dare risalto a ciò che rappresenta il fulcro del quadro, e che nelle opere di Crispo sono spesso particolari anatomici come volti, mani, piedi. Negli ultimi lavori il centro di tutto sono gli occhi, (dal latino ǒculus, col significato di occhio, cosa cara o preziosa, gemma, perla) simbolo da sempre della percezione sensibile e della conoscenza ma anche comunemente considerati lo specchio dell’anima. Gli occhi nei suoi quadri catturano lo sguardo dell’osservatore con lo sguardo, come gli occhi della greca Medusa, per svelare una verità antica: è l’idea dell’eterno ritorno di emozioni, di stati d’animo, di attese, “di cose che non passano mai”.
Le figure campeggiano spesso decentrate su sfondi monocromi, dalle tinte grevi, basse, che spaziano dai grigi ai verdi, dagli azzurri agli ocra e che ricordano i toni neutri di vecchie fotografie, risuonando come la voce di un contrabbasso in un motivo di musica jazz e lasciando emergere con evidenza i tocchi di rossi, l’arancioni e azzurri squillanti. Ancora una volta l’obiettivo è sottolineare gli elementi principali.
L’utilizzo di un taglio fotografico e la bellezza suadente di queste figure ricordano non solo i cartelloni pubblicitari e quindi un certo filone della Pop Art, ma anche fotogrammi di un film o immagini di un fumetto, per quel loro rimanere sospese come se rubate ad un contesto narrativo più ampio. A sottolineare questo aspetto intervengono non solo le espressioni dei volti e il taglio delle figure, ma anche le scritte che, inizialmente introdotte solo con un valore formale, oggi sono invece riportate di proprio pugno dall’artista e chiuse da puntini di sospensione. Esse lasciano intravedere con discrezione parole di un pensiero incompleto, di un dialogo interiore che vuole in parte rimanere segreto e invitare alla riflessione, ad un ascolto attento di ciò che accade.
Come divinità moderne, queste figure seducono non solo per la perfezione estetica dei volti, che nasce da una operazione di idealizzazione della figura umana che ricorda la tradizione classica, ma anche quel loro atteggiamento assorto e meditativo, che strega l’osservatore, intrappolato suo malgrado dal desiderio di entrare nel loro mondo intimo e introverso.
Lo sfondo piatto, le scritte, la particolare struttura compositiva contribuiscono a connotare queste opere di una particolare atmosfera sospesa, enigmatica, che si avvicina alle suggestioni di un certo surrealismo francese, con particolare affinità con le opere di Magritte.
Crispo, parlando dei suoi quadri, parla di improvvisazioni poiché questi nascono immediatamente sulla tela, senza bozzetti preparatori, dipingendo e disegnando direttamente sul quadro, con il colore acrilico e con interventi di carboncino.
Improvvisazioni dunque, come brani di musica jazz, dove seduzione e meditazione, modernità e classicità, si incontrano e dialogano: iperrealismo, sintesi formale, atmosfere surreali, tinte antinaturalistiche, bellezza classica, cultura Pop, il tutto inserito all’interno di un impianto compositivo e cromatico raffinato, in un perfetto equilibrio, proprio come vuole la grande tradizione dell’arte italiana".

FEDERICA CALANDRO


"Di fronte ai quadri (ma a tutti i tuoi quadri) la prima reazione è sempre quella di un meravigliato stupore per l'incredibile resa grafica e cromatica: è un’affascinazione quasi ipnotica da cui è difficile sottrarsi. Poi si entra nel merito del soggetto: quest'umanità colta in un attimo preciso e particolare (di smarrimento, di narcisismo, di attenzione stupita, di allegria svagata...) ma mai veramente decifrabile.     Ed è vero quello che è stato già benissimo sottolineato, e cioè che il senso di quelle azioni lo dobbiamo dare noi, sbloccare i personaggi , animarli e farli parlare, dargli un'identità e una storia, è cosa che tocca a noi fruitori...tu ti comporti come un regista che impianta una stupenda messa in scena e poi lascia gli "attori" nelle mani del pubblico (mi viene in mente Pirandello e i suoi personaggi in cerca d'autore)...
    Ma c'è dell'altro e riguarda la tecnica... Il riferimento alla fotografia e al linguaggio fotografico (taglio, composizione, luce) è chiaro e scontato, ma la fotografia è solo un pre-testo: l'immagine è presa e rielaborata, innanzitutto con questa stupenda costruzione grafica e poi con la resa cromatica, che non deve mai prevaricare ma, anzi, restare in subordine, al servizio dell'intera composizione (da qui la scelta dell'acrilico rispetto all'olio e, nell'acrilico, la preferenza alle tinte neutre, terrose)...il tocco di colore brillante, della tinta "pura è riservato ad un unico elemento che costituirà il fulcro della composizione stessa: una cravatta, due labbra tumide di rossetto, una sciarpa... in qualche modo un catalizzatore che permette all'opera di "aprirsi" e assumere una corposità quasi tridimensionale ed è proprio in quel momento che le figure ci chiedono la "responsabilità" di dargli vita e senso...Infine un'ultima considerazione che riguarda la tua poetica.     L'ambito, per me, è sicuramente di discendenza "Pop"; ma un pop assimilato e rielaborato all'interno di una visione "classica" (Sì,classica). Mi ricordo ancora l'affascinazione che provavamo per i lavori di Lichtenstein e Warhol... Ma Wahrol lavorava con le fotografie e i colori litografici e per lui la serialità era elemento fondamentale, le tue opere sono pezzi unici e.poi, hai il gusto della matita, del tratto che diventa intreccio e stabilisce luce ed ombra, il gusto del colore steso col pennello, le tue mani devono "entrare"per costruire, ed è questo che denota la tua classicità... Che la visione sia pop lo dimostra l'anticipazione ( che è propria di ogni vero artista) che sei riuscito a visualizzare di un fenomeno iconico che proprio nella sede in cui ci troviamo (facebook) è esploso e si impone al nostro sguardo.
   Ti sei reso conto che quei soggetti, quei volti dei tuoi quadri sono l'anticipazione "nobile" dei corpi e dei volti che compaiono nei riquadri dei profili?...In questi ognuno cerca l'entelechia di se stesso: quell'immagine che rappresenti alla perfezione il meglio di ognuno di noi, la nostra anima ma che, il più delle volte, ci mette nelle mani di chi dovrà "darci un senso" e decidere se sceglierci o meno come amico....proprio come personaggi in cerca d'autore..."

CLAUDIO VERDE
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